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CAP. 4 DISCUSSIONE

Gli studi sulla dieta del lupo sono probabilmente più comuni di ogni altro
genere nella ricerca su questa specie, e d'altra parte la dieta del
predatore è tanto ampia quanto il suo areale di distribuzione geografico.
Il contesto europeo si presenta completamente diverso da quella nord-
americano e asiatico. La maggior parte dell'habitat naturale del lupo in
Europa, infatti, è stato frammentato, alterato e distrutto dalle attività
umane, e numerose prede selvatiche sono state eradicate.
Storicamente, in molte aree la diversità delle specie di ungulati selvatici è
diminuita da 5 o 6 specie a solo 2 o 3 (Okarma 1995). Le variazioni
nell'abbondanza relativa, vulnerabilità e accessibilità delle prede
domestiche e selvatiche hanno fatto sì che l'ecologia alimentare dei lupi
sia abbastanza complessa, una testimonianza della flessibilità della
specie e del comportamento alimentare opportunista.
UNGULATI SELVATICI O DOMESTICI?
Gli studi realizzati in Europa dal 1980 ad oggi hanno messo in evidenza,
soprattutto per gli anni '80 e '90, la presenza di due condizioni
ecologiche molto differenti: quella dei lupi che vivono in habitat naturali e
predano prevalentemente gli ungulati selvatici e quella dei lupi che
occupano habitat antropizzati e si nutrono soprattutto di risorse d'origine
umana, come animali domestici e rifiuti.
A livello di areale europeo questa suddivisione si era manifestata in
particolare tra Europa nord-orientale, dove il lupo era risultato predare
principalmente cervo, alce e renna (Puillianen, 1965; Filonov, 1989;
Jedrzejewski et al., 1992, 2000; Okarma 1995; Bjiarvall e Isakson, 1982),
e Europa meridionale, dove numerosi studi avevano evidenziato un
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elevato uso di ungulati domestici, e in alcuni casi di rifiuti, da parte del
predatore (Macdonald et al. 1980; Ragni et al., 1985; Salvator e Abad,
1987; Cuesta et al. 1991; Patalano e Lovari, 1993; Papageorgiu et al.,
1994).
Tuttavia questa suddivisione si era manifestata anche a livello di
"sottoareale".
Nell'Europa orientale, ad esempio, è stata riscontrata una differenza tra
la porzione settentrionale della ex-Russia, dove l'ambiente è stato
trasformato solo moderatamente dall'uomo, e la regione meridionale,
l'Ucraina e la Moldava, dove, invece, la presenza di aree densamente
abitate e coltivate in modo intensivo ha alterato sia le abitudini alimentari
sia il comportamento spaziale dei lupi (Bibikov et al.1985; Ryabov,
1993), che spesso si ibridano anche con i cani (Ryabov, 1993).
Nell'Europa meridionale, il maggiore grado d'alterazione ambientale e di
diffusione dell'uomo sul territorio hanno accentuato il contrasto tra i due
tipi ecologici. Così in Spagna vi sono aree in cui l'uso degli ungulati
selvatici è prevalente e altre limitrofe in cui, invece, la dieta è composta
quasi esclusivamente da domestici (Cuesta et al. (1991). In Italia, a
dispetto di quanto riscontrato nei primi studi effettuati nell'Appennino
centrale, è emerso nel tempo che laddove sono presenti comunità di
ungulati selvatici abbondanti questi rappresentano la componente
fondamentale, se non esclusiva, della dieta del lupo (Mattioli et al., 1995;
Ciucci et al., 1996; Meriggi et al., 1996; Capitani et al., 2004; Mattioli et
al., 2004; Gazzola et al., 2005).
Come mostrato da Meriggi e Lovari (1996) e confermato con questo
studio, l'utilizzo di ungulati selvatici e domestici è strettamente correlato,
e l'uso dei primi aumenta in corrispondenza della diminuzione degli altri.
La reintroduzione di ungulati selvatici è stata proposta, quindi, come un
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possibile fattore di riduzione dei danni sul bestiame domestico (Meriggi e
Lovari, 1996; Poulle et al., 1997, Vos 2000).
Dal 1996 ad oggi, si è assistito a un progressivo aumento della
percentuale di utilizzo dei selvatici nella dieta del lupo in tutta Europa.
A livello europeo, questo fenomeno è probabilmente una diretta
conseguenza dell'espansione delle popolazioni degli ungulati selvatici,
iniziata negli anni '70, e quindi della colonizzazione da parte del lupo di
nuove aree dove queste prede sono presenti. Inoltre, è probabile che
l'aumentato interesse generale nella conservazione della specie abbia
prodotto un aumento della produzione scientifica: la pubblicazione di dati
su un numero maggiore di aree avrebbe messo in luce, quindi, situazioni
già da tempo esistenti.
Alcune situazioni di criticità, tuttavia, sono ancora oggi riscontrabili, in
particolare legate a cambiamenti della disponibilità delle prede
temporanei o locali. E' il caso delle Alpi, dove l'aumento della
disponibilità di domestici in estate e autunno fa registrare un incremento
di tali prede nella dieta del lupo (Poulle et al., 1997; Gazzola et al.,
2005). In Bielorussia, invece, Sidorovich et al. (2003) hanno evidenziato
un temporaneo aumento dell'utilizzo di domestici durante alcuni anni di
declino della popolazione di ungulati selvatici.
Un elemento di criticità nella correlazione selvatici/domestici è la
capacità di espansione spaziale del lupo rispetto a quella delle sue prede
naturali. Di conseguenza il lupo sta colonizzando nuove aree dove
ancora la densità di ungulati selvatici è bassa, e quindi può riemergere il
conflitto con le attività antropiche di tipo zootecnico. Per questo motivo in
alcuni paesi europei sono stati elaborati piani di controllo del predatore: è
il caso di Francia, Svizzera, Norvegia e, per eventi particolari, anche
della Svezia.
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Considerata la notevole espansione che sta avendo il lupo in Italia e nel
resto d'Europa (Salvatori e Linnell, 2005) si può ipotizzare per il futuro un
acuirsi del conflitto uomo/predatore nelle aree di nuova colonizzazione
maggiormente antropizzate e dove da tempo il lupo non era presente.
USO E SELEZIONE DEGLI UNGULATI SELVATICI

Analizzando complessivamente le fonti bibliografiche considerate
emerge una differenziazione nell'uso degli ungulati selvatici,
corrispondente in prima analisi alle variazioni ecologiche tra aree
geografiche differenti. Tra le prede più utilizzate risultano: l'alce in Nord
Europa, il cervo nell'Europa centro-orientale e il cinghiale nell'Europa
meridionale. Il capriolo viene predato con frequenza abbastanza simile
nelle tre macro-aree geografiche.
Altre specie che possono essere localmente abbondanti e quindi
importanti per il predatore includono la renna, il muflone, il bisonte
Europeo, lo stambecco, il camoscio, e il daino.
Nelle regione boreale della Scandinavia l'alce è la preda principale nelle
aree boscate, ma il capriolo è importante nelle aree coltivate (Bjärvall
and Isackson 1981; Olsson et al. 1997). La renna selvatica è la preda
principale nelle regioni della tundra siberiana (Makridin et al. 1985), e
cede il posto all'alce nella taiga (Filonov 1989).
Nelle foreste temperate dell'Eurasia, il cinghiale può essere abbondante,
e rappresenta una preda preziosa per i lupi. Nella riserva Kyzyl-Agach,
vicino al Mar Caspio, il cinghiale fornisce circa due terzi della dieta
(Litvinov 1981). Il cervo è una specie comunemente predata nelle foreste
temperate miste e di latifoglie, sia in pianura sia in montagna (Okarma,
1995). Nella Foresta di Bialowieza il cervo è la preda principale, seguito
dal capriolo e dal cinghiale (Jedrzejewski et al., 1992 e 2000). La
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predazione da parte del lupo ammonta a circa il 75% della mortalità da
cervo.
Nell'Europa meridionale, dove gli ungulati selvatici sono stati reintrodotti
o storicamente conservati, questi erbivori supportano le popolazioni di
lupo, come in alcune regioni italiane e spagnole. Cinghiale e capriolo
rappresentano una buona parte della dieta del lupo nelle regioni
montuose della Spagna meridionale (Estremadura e Sierra Morena).
Specialmente in Sierra Morena, dove le grandi riserve di caccia
mantengono alte densità di ungulati selvatici, i lupi si nutrono quasi
esclusivamente di cervo e capriolo (Castroviejio et al., 1975; Cuesta et
al., 1991). Nel Parco Nazionale del Mercantour, colonizzato dai lupi
intorno alla metà degli anni '90, le prede principali del lupo sono risultate
il muflone e il camoscio (Poulle et al. 1997). Nella vicina popolazione
della Val di Susa (Alpi torinesi) le prede principali sono rappresentate da
cervo e capriolo. Nell'area dell'Appennino, la ricolonizzazione da parte
del lupo è avvenuta in corrispondenza di una grande espansione del
cinghiale, che costituisce circa dal 14% all'85% della dieta (Mattioli et al.,
1995; Ciucci et al., 1996; Meriggi et al., 1996; Capitani et al., 2004;
Mattioli et al., 2004).
In ambito Appenninico, gli studi condotti in Provincia di Arezzo
rappresentano un caso peculiare, dal momento che è stato possibile
analizzare il comportamento alimentare di diversi branchi in contesti
ecologici non molto differenti, ma con diversa composizione della
comunità di prede selvatiche.
Nelle sei unità di analisi, a fronte di un pattern d'utilizzo degli ungulati
selvatici rispetto ai domestici costante, è stata riscontrata, invece, una
notevole variabilità nell'uso delle diverse specie di ungulati selvatici.
Questo dato rispecchia la capacità plastica del lupo di adeguarsi a
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contesti differenti ed è particolarmente interessante se si considera la
dimensione relativamente piccola dell'intera area di studio.
La variabilità osservata non è solo dovuta alla diversa densità delle
prede nelle sei aree. E' importante sottolineare, infatti, il valore relativo
della disponibilità e della vulnerabilità, che per una stessa specie
possono variare in rapporto alle prede alternative e alle condizioni
ambientali. In questo studio, ne sono un esempio il differente uso sia del
capriolo sia del daino nelle diverse unità d'analisi
La grande variabilità riscontrata nell'uso degli ungulati selvatici,
evidenziata in particolare dagli studi effettuati in provincia di Arezzo, si
contrappone a quanto sembra emergere sulla selezione di questi.
Secondo Mech e Peterson (2003), la spiegazione più probabile per il
diversificato pattern di selezione delle prede riscontrabile nella letteratura
Europea e Nord Americana implica una combinazione tra efficienza di
cattura e rapporto profittabilità/rischio di predazione, che si riduce in
sostanza alla vulnerabilità della preda. Il predatore, quindi, prederebbe
un qualunque individuo di una qualunque specie che sia
sufficientemente vulnerabile per essere uccisa col minimo rischio in ogni
possibile momento.
Da questo studio sembrerebbe emergere, tuttavia, una tendenza
diversa.
L'analisi complessiva delle fonti disponibili indica una tendenza netta alla
selezione del cinghiale nell'Europa mediterranea (Meriggi et al., 1996;
Olsson et al., 1997; Jedrzejewski et al., 2000; Capitani et al., 2003;
Capitani et al., 2004; Mattioli et al., 2004, Mattioli et al., in prep) e dei
cervidi, in particolare il cervo, in quella continentale (Andersone e
Ozolins, 2004; Gazzola et al. 2005; Nowak et al., 2005; Ansorge et al.
2006.)
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Il capriolo, invece, è risultato selezionato sempre negativamente ad
eccezione che in Scandinavia (Ollsson et al., 1997). Infatti, il capriolo è
considerato una preda difficile in habitat di foresta perché ha la tendenza
a vivere in piccoli gruppi e per il suo stile di vita solitario e elusivo. Nelle
aree aperte, al contrario, il capriolo mostra la tendenza ad aggregarsi
(Gerard et al., 1995) e la presenza di grossi gruppi può favorire la
predazione da parte del lupo (Huggard, 1993; Hebblewhite e Pletscher,
2002). Inoltre, nello studio di Ollsson et al. (1997) la preda alternativa al
capriolo era l'Alce, che potrebbe essere risultato una preda meno
conveniente in termini di rischio per il predatore.
L'intensità della selezione del cinghiale nei diversi studi è risultata
correlata alla sua disponibilità relativa nella comunità di ungulati. Ciò
significa che l'intensità della selezione, su scala europea, aumenta con
l'aumentare della densità relativa di questa specie rispetto agli altri
ungulati selvatici presenti. Inoltre la preferenza per il cinghiale diminuisce
significativamente in relazione all'aumento della latitudine e viceversa
accade per il capriolo e per il cervo (non significativo), per i quali però c'è
una scarsa relazione tra disponibilità relativa e intensità di selezione.
La densità relativa del cinghiale, però, non è risultata correlata con la
latitudine, pertanto la diminuzione di selezione in relazione alla latitudine
non è soltanto dovuta alla variazione della disponibilità relativa del
cinghiale nel nord Europa, ma anche ad altri fattori.
In generale questi fattori possono essere di tipo climatico-ambientale,
oppure legati al predatore oppure alle prede.
Nell'area mediterranea le condizioni climatiche sono tali da non
pregiudicare in modo grave lo stato nutrizionale delle prede o la loro
capacità di difesa dal predatore; inoltre la mitezza del clima induce, in
alcune aree, una produzione buona e continuativa di risorse trofiche e, di
conseguenza, un alto tasso di riproduzione delle prede. Viceversa
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nell'Europa continentale spesso le condizioni climatiche influenzano la
vulnerabilità e sopravvivenza delle prede, dando luogo a forti fluttuazioni
della loro densità (Jedrzejewski et al., 2000).
La comunità di prede, d'altra parte, si differenzia notevolmente a
seconda delle aree geografiche sia per composizione delle popolazioni
sia per biomassa dei capi. I predatori, infine, differiscono per dimensione
corporea e per numero di individui che compongono i branchi.
Questi tre elementi interagiscono tra loro in modo che per il predatore si
delinea una certa preda come quella che rappresenta il rapporto ottimale
costi/benefici.
La selezione per il cinghiale è da mettere in relazione, ad esempio, alla
scelta della tipologia di prede all'interno della specie, della quale sono
generalmente selezionate positivamente le classi giovanili, in particolare
individui tra i 10 e i 35 kg (Mattioli et al., 1995; Meriggi et al., 1996;
Mattioli et al. in prep.). I giovani tra di 10-35 kg sono, infatti, poco difesi
dalla madre, vivono in branchi numerosi, più facilmente individuabili dal
predatore, oppure possono andare in dispersione quando ancora non
hanno raggiunto un anno di età. Gli individui di peso inferiore a 10 kg,
invece, sono poco vantaggiosi per le ridotte dimensioni e, soprattutto,
per il rischio rappresentato dalla difesa da parte della madre. Gli individui
adulti, infine, presentano un alto rischio per il predatore a causa delle
loro abilità difensive, sebbene le loro dimensioni siano vantaggiose in
termini di biomassa.
Per quale motivo, allora, il cinghiale non è selezionato anche nelle aree
dell'Europa continentale dove è presente, mentre viene preferito il
cervo? Anche per questa specie spesso la selezione deriva dal maggior
uso della classe giovanile (Jedrzejewski et al. 2000, Nowak et al., 2005),
il cui peso medio è però superiore a quello dei giovani di cinghiale e dei
giovani cervi dell'area mediterranea. Questa preda potrebbe essere più
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vantaggiosa, in termini di biomassa fornita, per un predatore che abbia
dimensioni corporee leggermente superiori (rispetto a quelle del lupo
mediterraneo) e sia aggregato i branchi più numerosi. Inoltre nelle aree
dell'Europa continentale il cinghiale è una specie soggetta a forti
fluttuazioni della disponibilità causate dall'abbondanza di cibo e dalle
condizioni di nevosità, e potrebbe essere una preda poco "affidabile".
Tuttavia le relazioni tra fattori fisici, fattore preda e fattore predatore non
sempre risultano efficaci nello spiegare i fenomeni osservati tanto che si
sta valutando l'ipotesi (Jedrzejewski com. pers.) che la scelta tra cervo e
cinghiale possa essere mediata, su larga scala, da fattori genetici.
Per quanto riguarda la selezione dei piccoli, essa è risultata
generalmente positiva per tutte le specie. Questo risultato è stato
riscontrato anche in numerosi studi nord-americani ed è coerente con
l'ipotesi sull'influenza della vulnerabilità nella selezione delle prede
(Mech e Peterson 2003). Gli individui giovani sono infatti più vulnerabili
rispetto agli adulti a causa dell'inesperienza e della minor vigoria fisica.
Tuttavia, studi approfonditi condotti in Prov. di Arezzo hanno messo in
evidenza una variazione della vulnerabilità dei giovani nel corso del
primo anno di vita (Mattioli et al., 2004 e Mattioli et al., in prep.) che
avrebbe pattern opposti tra cinghiali e cervidi. I primi, infatti, sarebbero
selezionati maggiormente nella seconda metà del primo anno di vita,
mentre i secondi nella prima parte.
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